C’erano una volta i gesti, i movimenti delle mani che insieme alle espressioni del viso dicevano spesso molto più delle parole. Ora, ai tempi dello smartphone, a parlare di noi sono le faccine: quelle disegnate usando la punteggiatura (gli emoticon), o quelle già pronte per l’uso (gli emoji). Essi sono strumenti di comunicazione non verbale trasversali e senza età, utili da studiare per far luce sui comportamenti individuali e sulle modalità di interazione sociale.
Oggi oltre il 90% del popolo di Internet è solito inserire emoticon ed emoji in testi scritti ed email. Un’indagine condotta nel 2014 su mille americani ha indicato che soltanto il 54% di chi usa le faccine ha dai 18 ai 34 anni. Tutti gli altri, quasi la metà, sono adulti. Segno che, spiegano le autrice della ricerca, questa forma di comunicazione è più collegata alla personalità che all’età.
Nelle interazioni faccia a faccia elementi come i movimenti del volto, il tono di voce e la gestualità sono essenziali per far capire meglio quello che vogliamo comunicare. Ebbene, le ricercatrici britanniche ritengono che emoji ed emoticon abbiano la stessa funzione: supporti visivi utili a chiarire e a rafforzare il messaggio che vogliamo mandare all’ interlocutore virtuale. Capire come una persona li utilizza, quando e perché, può quindi servire a interpretare i tratti della sua personalità.
Secondo le esperte, studiare l’impiego delle faccine può rivelarsi utile anche per comprendere meglio le nuove modalità di interazione sociale. Scegliere un emoticon o un emoji piuttosto che un altro, infatti, può influire sul modo in cui veniamo percepiti e giudicati dalla persona con cui stiamo comunicando.