Fenomeno Emo: i nuovi decadenti?

Sempre più spesso vediamo nelle strade, giovani adolescenti con un abbigliamento stile gotico, occhi truccati di nero, maglioni larghi o magliette strette, jeans molto aderenti, capelli spettinati, con frange asimmetriche che coprono quasi metà del viso, piercing al labbro e accessori come collane, più spesso simili a collari, con cuori spezzati o con teschi.

Chi sono questi giovani?

Gli “emo”, ragazzi di età compresa dai 14 ai 19 anni circa. Essi non hanno solo un preciso modo di vestire ma anche con una “filosofia di vita” specifica che molto spesso spaventa i genitori che osservando i figli non riescono a capire da dove derivi tanta tristezza, tanto dolore.

Che cosa significa “emo” e che cosa caratterizza la loro identità?

Emo è l’abbreviazione di emotivo/emozione, rappresenta uno stile di vita nel quale viene manifestata una condizione depressiva e/o di dolore. I ragazzi “emo” non fanno mistero delle loro emozioni, di quello che provano: piangono davanti agli amici, baciano persone dello stesso sesso o addirittura arrivano a farsi del male procurandosi tagli sulle braccia o sulle gambe con le lamette da rasoio (emo in greco significa sangue e questo è un elemento connotativo molto importante). Una richiesta di aiuto, la manifestazione di un disagio insostenibile che li rende per un verso emarginati, infatti, molti adolescenti li considerano dei ragazzini viziati in cerca di commiserazione, ma dall’altro, parte di un gruppo, di un sentire comune, di un sentirsi “emo”. Dietro a questa “filosofia di vita” si nascondono comportamenti autolesionistici che sono il mezzo attraverso il quale l’essere “emo” esprime l’essere un adolescente in difficoltà, rivelando un profondo bisogno di attenzione.

Sentirsi “emo”, voler esser “emo” per poter far parte di un gruppo esercita un’attrazione molto forte per i ragazzini più suggestionabili che si infliggono i tagli per dimostrare di appartenere al gruppo. Tagliarsi porta una sorta di sensazione di calma, come se il taglio mettesse a tacere  l’ansia e l’agitazione ma l’effetto “positivo” del taglio porta ad una sorta di dipendenza per cui l’adolescente vi ricorrerà ogni volta che si troverà in ansia.

Cosa spinge un adolescente a diventare “emo?

La domanda è complessa ma credo che una prima risposta possa essere la sensazione di vuoto emotivo, infatti, l’atteggiamento sia emotivo sia fisico, vuole rendere visibile agli altri una condizione di disagio.  Gli “emo” ricordano molto la melanconia del giovane Werther e la difficile crescita del giovane Holden, fragili e dall’animo tormentato. Possiamo poi trovare ulteriori chiarimenti attraverso una riflessione sulla drammatizzazione dell’emozione dolorosa. Questi ragazzi, provano certamente delle emozioni ma non sembrano aver sviluppato o essere in grado di utilizzare una modalità per pensare, sperimentare ed esprimere i propri stati emotivi. Solo attraverso l’ enfatizzazione degli stessi si sentono in grado di possederli, sentirli, viverli.

Può essere considerato pericoloso come gruppo di appartenenza?

Il desiderio di identificarsi in un modo di essere, di appartenere ad un gruppo, di detestare tutto ciò che è “altro”, di considerare il proprio modo di essere “giusto” e gli altri “sbagliati” è assolutamente comune in tutti gli adolescenti e come tutte le espressioni adolescenziali, anche questa,  ha un valore di crescita. Se questo fenomeno però è portato ad un livello molto estremo, può rappresentare una vera e propria manifestazione di sofferenza psicologica. Non dimentichiamo che non solo non sono rari i casi in cui ci si imbatte in fenomeni di autolesionismo, ma anche che gli “emo”, in ultima ipotesi, inneggiano al suicidio come atto liberatorio. Tuttavia, si ha la sensazione che più che trovarci di fronte ad una generazione di ragazzi che vivono un profondo stato di angoscia, abbiamo dinanzi dei giovani che davanti all’impossibilità di poter “sentire”, si esprimono in manifestazioni dalle tinte forti con la finalità inconscia di sentirsi vitali. Certamente l’elemento che accomuna questi adolescenti è sempre una dimensione di sofferenza, legata più ad un aspetto plateale plateale, di stampo isterico come direbbe Freud, e a un bisogno enorme di sperimentare uno spirito di vita che contrappone gli “emo” all’idea e soprattutto al timore della morte, più che ad una sfida profonda della morte stessa.

Da cosa dipende lo sviluppo di questo fenomeno?

La nostra epoca, al contrario delle precedenti, incentiva l’espressione delle emozioni non solo tra genitori e figli ma anche tramite l’uso di mezzi di comunicazione come i social network, i blog, le pagine personali. Questi ultimi permettono la diffusione e la condivisione su larga scala dei propri vissuti. Questo fenomeno sarebbe molto positivo se ci fosse allo stesso tempo un’azione di contenimento emotivo che faciliti la crescita in un clima di sostegno. Purtroppo non è così.

Cosa possiamo dire ai genitori?

Questo fenomeno è un modo per esprimere l’insicurezza che è tipica dell’età adolescenziale, durante la quale i ragazzi sperimentano diverse forme per superare i propri limiti, mettersi alla prova, “emo”-zionarsi tirando fuori la propria carica aggressiva. Ai genitori è riservato il non facile compito di spingere questi ragazzi ad esprimere il disagio che sentono e a stare vicino a quella sofferenza, fungendo da contenitore per il dolore dell’adolescente ma fornendogli contemporaneamente gli strumenti necessari per affrontare la vita e crescere.