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Definizioni e differenze di ruolo e di funzioni tra CTU e Mediatore familiare
La Consulenza Tecnica di Ufficio (CTU) è uno strumento di indagine che si utilizza in ambito giudiziario. È una valutazione specifica che viene richiesta dal giudice e affidata ad un esperto, competente nella materia oggetto dell’indagine, in modo che effettui un’analisi approfondita e dia una valutazione tecnica dei fatti della causa, fornendo al Giudice tutte le informazioni utili alla sua decisione (v. art. 61 codice di procedura civile cpc).
In ambito civile, nelle separazioni coniugali sempre più spesso lo psicologo forense è chiamato ad intervenire in qualità di Consulente Tecnico di Ufficio (CTU) su richiesta del giudice per rispondere a quesiti relativi la valutazione delle capacità genitoriali e le conseguenti migliori condizioni di affidamento del minore. La Consulenza viene richiesta in casi particolarmente problematici dove la coppia genitoriale, non più coniugale, si contraddistingue per complesse dinamiche disfunzionali, elevata incomunicabilità e clima relazionale altamente conflittuale. Questo stato di cose può essere fortemente disturbante per il minore al quale, a volte, non viene assicurata una sana e serena crescita essendo oggetto di contesa nei conflitti coniugali dei genitori.
La CTU è quindi una indagine diagnostico valutativa la cui funzione è quella di fornire al giudice notizie supplementari oltre a quelle già in suo possesso. Non ha pertanto fini terapeutici né di mediazione.
La mediazione familiare è “un percorso che sostiene e facilita la riorganizzazione della relazione genitoriale nell’ambito di un procedimento di separazione della famiglia, della coppia alla quale può conseguire una modifica delle relazioni personali tra le parti” (art.1 comma 1 legge n. 26 del 24.12.2008 Regione Lazio). La mediazione familiare è un intervento extragiudiziale, volontariamente scelto dalla coppia dei genitori e condotto da un professionista neutrale, non necessariamente psicologo ma comunque un tecnico con una formazione specifica, che si adopera affinché la coppia genitoriale elabori in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale.
La mediazione familiare ha pertanto una funzione esclusivamente di natura compositiva e non valutativa.
La mediazione familiare si distingue, quindi, dalla CTU per la finalità, in quanto la prima verte ad aiutare la famiglia, infatti, il mediatore lavora con i genitori in vista di possibili accordi che la coppia può raggiungere mentre il destinatario dell’attività del CTU è il giudice. Elemento ulteriormente importante è la volontarietà: assente nella CTU poiché è il giudice a richiederla, centrale nella mediazione in quanto sono i separandi/separati a farne domanda. Per una corretta informazione, va detto però che il giudice può suggerire o imporre una mediazione prima del giudizio. Secondo Bogliolo (1998), nella mediazione imposta, l’invio può trovare una resistenza proprio per il modo in cui è stato determinato. Egli afferma che “la mediazione in corso di separazione è da riservare solo a quei casi […] dove i genitori sono concordi sull’opportunità di un perfezionamento preliminare degli accordi […] configurando, in questo modo, una sorta di prevenzione, dove si tenta di evitare la comparsa di problemi successivi”.
Metodologia della CTU e della Mediazione Familiare
1) Scelta del Consulente e del Mediatore Familiare e controindicazioni
Il CTU viene scelto dal Giudice tra le persone iscritte nell’apposito Albo (Magrin 2000), fermo restando però la facoltà del Giudice di scegliere il Consulente Tecnico tra i professionisti di sua fiducia. L’ordinanza viene notificata al Consulente Tecnico dal Cancelliere (art. 192 cpc) e il Consulente ha l’obbligo di prestare la sua opera (art. 63 cpc) a meno che non vi siano giusti motivi (art. 192 cpc) per cui possa astenersi. Una volta accettato l’incarico presta giuramento “di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità” (art. 193 cpc). (Con il concetto di verità in ambito giuridico ci si riferisce ad una verità oggettuale, basata cioè su dati oggettivi di realtà che chiariscono i fatti mentre in psicologia si dà maggiore importanza alla verità “soggettiva” cioè a quella che “fa comprendere al soggetto se stesso nell’esistenza” (Kierkegaard 1846). Lo psicologo è focalizzato quindi sulla personalità del soggetto, sul modo in cui vive e interpreta la sua realtà. Lo psicologo forense ha il difficile compito di trovare il giusto equilibrio tra queste due verità). Con i giuramento, il CTU diventa a tutti gli effetti un “pubblico ufficiale”.
Il Giudice, al momento della nomina del proprio consulente, assegna alle parti un termine per nominare eventualmente un proprio Consulente Tecnico di Parte (CTP) che potranno partecipare alle operazioni del CTU.
La coppia genitoriale sceglie, invece, il centro di mediazione familiare a cui rivolgersi. Effettua una telefonata e al momento della chiamata, il centro compila, solitamente, una scheda telefonica che servirà allo staff per raccogliere dati di ordine generale (chi chiama, nomi, indirizzi, esistenza figli, età dei figli etc) e di ordine più specifico (qual è la posizione legale: separati, in via di separazione, divorziati, quale tipo di separazione hanno scelto i coniugi, qual è la qualità del conflitto) e fisserà, qualora lo ritenga opportuno, un incontro con la coppia. Può accadere infatti che talvolta sia uno dei separandi a chiamare di propria iniziativa e che palesi la propria incertezza sulla disponibilità dell’altro. In questi casi, se vi sono gli estremi, il centro può insistere affinché il chiamante convinca l’altro, dichiarando la propria disponibilità ad attendere ma non assume alcuna iniziativa per contattare o sollecitare una persona che rifiuti l’incontro. Avviare un processo di mediazione familiare con una coppia non mediabile è una scelta molto rischiosa, in quanto passibile di fallimento e conseguente esasperazione del conflitto tra i genitori.
Esistono, infatti, al contrario della CTU, delle “controindicazioni” alla mediazione familiare. Le coppie, con una scarsa motivazione e con un’alta conflittualità, che perseguono l’obiettivo di farsi reciprocamente la guerra per stabilire vincitori e vinti, non sono, in genere, coppie mediabili. In queste coppie, il conflitto assume delle finalità specifiche che possono essere così riassumibili:
– Proprio attraverso la discordia i due genitori continuano a rimanere vincolati l’uno all’altro e rimangono uniti grazie a quel legame che Cigoli (1988) definisce legame disperante: pur nel contesto della separazione coniugale, i due ex coniugi non smettono di sperare nel cambiamento dell’altro. Tale speranza impedisce loro di accedere ad una separazione emotiva.
– Il conflitto è centrato sul possesso totale ed esclusivo dei figli: un genitore al fine di eliminare l’altro e tutta la sua famiglia, non permette l’accesso ad accordi relativi alla condivisione della genitorialità. Cigoli (1988) definisce queste famiglie “scismatiche”.
– Il conflitto ha determinato il disinteresse pressoché totale di uno dei due genitori nei confronti dei figli.
2) Il mandato del CTU e del Mediatore Familiare
Nella CTU il Giudice pone al consulente un quesito, che serve ad indirizzare e limitare l’attività del CTU, secondo quelle che il Giudice ritiene essere le esigenze processuali. Ad esempio: “ Dica il CTU, esaminati gli atti e i documenti di causa, esperite le operazioni ritenute necessarie, quale sia la situazione di vita attuale del minore, quali siano le migliori modalità di rapporto tra genitori e figli e in particolare aiuti il progredire ed il miglioramento dei rapporti padre-figlio…”. In questo caso, il Giudice chiede al CTU una valutazione del benessere del minore, una consulenza sulle modalità di affidamento e delle visite ma anche sulla gestione del rapporto tra i genitori e indicazioni sulla strada che i soggetti possono percorrere per migliorare i rapporti e trovare un nuovo equilibrio familiare.
Il Consulente dovrà rispondere attraverso una relazione scritta entro i termini fissati dal Giudice (dai 30 ai 90 giorni). Essi potranno essere prorogati su richiesta del CTU in relazione ad ulteriori verifiche da svolgere o a specifiche attività di monitoraggio della situazione familiare. Il CTU fissa il calendario delle operazioni peritali.
Nella Mediazione Familiare non è necessario che si stabiliscano delle precise sequenze del processo mediatorio. Alcuni mediatori però predispongono un “documento”, una specie di contratto iniziale, che sarà firmato da entrambe le parti, sul progetto da perseguire. Il percorso si svolge attraverso una serie di incontri, da 8 ad un massimo di 10, distanziati tra loro di due settimane circa.
3) Il colloquio nella CTU e nella Mediazione Familiare
Il colloquio è il mezzo principe a disposizione del CTU per raccogliere informazioni. Consente, infatti, di stabilire un rapporto con la famiglia e di giungere ad una conoscenza delle problematiche interne a tale nucleo.
Durante una consulenza tecnica in tema di affidamento di minori, il consulente avrà ben presente che un colloquio imposto dal giudice potrà presentare possibili resistenze consce/ inconsce e anche la tendenza dei coniugi a rappresentare una realtà dei fatti che sia quanto più possibile coincidente con la linea processuale assunta che non per questo coincide con la realtà.
Il Consulente effettuerà colloqui (singoli e/o congiunti) sia con il genitore sia con il minore e le figure di attaccamento più significative nella sua vita. L’obiettivo diagnostico sarà quello di riferire la struttura iniziale delle relazioni familiari, la loro evoluzione, la dinamica del processo di sfaldamento del nucleo familiare ed anche di prevedere la strutturazione che le relazioni interpersonali assumeranno, una volta stabilito un nuovo equilibrio con lo scioglimento del nucleo familiare e l’affidamento dei figli. Potrà inoltre utilizzare i reattivi psicodiagnostici per integrare le sue valutazioni.
Nel corso della consulenza il numero dei colloqui varia e vengono svolti:
– Colloqui con i genitori: il colloquio con il singolo genitore consente di delineare la storia dell’individuo e di comprendere il modo con il quale affronta il momento della separazione nonché le sue aspettative nei confronti del futuro.
– Colloquio congiunto con i genitori: oltre ad essere occasione di confronto delle versioni rese della storia familiare dal singolo, consente di analizzare le capacità comunicative e le dinamiche relazionali delle parti, anche per stabilire il grado di collaborazione che i due possono mostrare nell’interesse del minore.
– Colloquio congiunto genitore-figlio: permette di osservare le dinamiche relazionali in atto con il minore e il modo con cui il minore interagisce con la figura di riferimento.
– Colloquio con altre figure significative: oltre ai genitori e ai minori, vengono spesso sentite persone importanti nella vita del minore, che si prendono cura di lui. Si svolge con loro, in genere, un colloquio di tipo conoscitivo, nel tentativo di capire la disposizione del soggetto nei confronti del minore e il suo atteggiamento nei confronti della vicenda coniugale. Non vengono mai sentiti eventuali testimoni che non hanno consuetudine di vita con il minore.
Nella mediazione familiare, i colloqui sono rivolti ai soli genitori. Il mediatore opera per instaurare un nuovo rapporto, una nuova relazione che deve essere istituita tenendo conto della separazione. L’obiettivo non sarà quello di investigare sulla coppia e sulle loro vicende, che sono e restano fatti privati, ma quello di cercare insieme una risposta al problema che li ha condotti in mediazione. In mediazione si discute sul futuro e poco sul passato. Compito del mediatore è “aiutare le persone a confrontarsi sul quantum attuale di disponibilità, consapevoli del loro passato più o meno difficile” (Bogliolo 1998) perché “più il mediatore si sofferma sulle storie passate, più rimane intrappolato nella disputa su un passato che non può cambiare e ciò aumenta la frustrazione e il senso di impotenza dei genitori” (Haynes 1999).
4) Il Colloquio con il minore nella CTU e nella Mediazione Familiare
Il colloquio con il minore rappresenta un momento cruciale nella CTU in quanto consente al bambino di usufruire di uno spazio entro essere ascoltato. All’inizio del colloquio, il minore viene informato circa le ragioni dell’indagine anche nel caso in cui sia molto piccolo. Questa chiarificazione permette al bambino di esternare le emozioni inerenti al proprio vissuto (De Leo, Malagoli Togliatti 1990).
L’incontro con il minore permette di valutare i suoi effettivi bisogni e i rapporti che ha con ciascuna figura genitoriale, le introiezioni e le identificazioni in corso, nonché i rapporti con eventuali nuovi partner e/o persone che si prendono cura di lui.
In questo caso lo strumento elettivo d’indagine è rappresentato da modalità a lui conosciute come il gioco simbolico, il disegno, il raccontare le storie. Esse permettono, soprattutto se il minore è molto piccolo e con poca proprietà di linguaggio rispetto agli adulti, una maggiore facilità nell’esprimere ansie, paure, desideri. Consentono, inoltre, di esprimere ciò che pensa senza il timore di perdere una figura di riferimento a lui cara.
L’opportunità o meno che i minori partecipino alla mediazione familiare, trova gli esperti discordanti. Alcuni (Ardone, 1994; Dell’Antonio, 1996) ritengono di favorire la presenza dei figli in quanto si permetterebbe loro di assistere attivamente all’analisi delle relazioni/decisioni familiari da cui sono stati esclusi. Una seduta congiunta porterebbe i genitori a comprendere meglio le sofferenze dei figli. Altri esperti (Bogliolo 1998; Bernardini, 1994) considerano la convocazione dei figli inutile se non dannosa, in quanto li coinvolge di nuovo in dinamiche che hanno già procurato sofferenza. I figli potrebbero, infine, fantasticare inutilmente di partecipare ad un lavoro teso alla riconciliazione dei genitori, restando cocentemente delusi.
5) La conclusione della CTU e della Mediazione familiare: la relazione finale
Gli esiti della consulenza tecnica vengono comunicati al Giudice attraverso una relazione scritta che rappresenta l’atto conclusivo dell’iter peritale. La relazione si sviluppa, a grandi linee, in tre segmenti: il primo dove vi è la descrizione del campo di indagine della consulenza. Contiene perciò tutte le informazioni utili a consentire l’individuazione del committente, delle parti, del quesito e le indicazioni sugli aspetti salienti dello svolgimento delle operazioni di consulenza. La seconda parte rappresenta il corpo della consulenza e riporta gli elementi anamnestici significativi, sia per ciò che riguarda le dinamiche relazionali sia per i singoli soggetti coinvolti, le risultanze dei reattivi psicodiagnostici e le valutazioni del CTU in ordine alla struttura di personalità dei soggetti coinvolti nella consulenza. L’ultima parte, oltre alle considerazioni di ordine generale sulle dinamiche relazionali, contiene la risposta al/ai quesito/i posti dal Giudice con un’adeguata motivazione delle affermazioni fatte e le conclusioni finali.
Le conclusioni di un percorso di mediazione familiare saranno riferite dai clienti al Giudice, ove quest’ultimo l’abbia richiesta, o agli avvocati ma non direttamente dal mediatore che è vincolato dal segreto professionale. Su questa questione i pareri non sono però concordi. Da molte parti si sostiene l’opportunità di un documento ufficiale sugli accordi presi che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore e che venga consegnato o utilizzato come impegno con valore legale. Il concludersi del processo, quando positivo, coincide con il raggiungimento e l’applicazione delle nuove regole di funzionamento che sono state concordate. Ciò significa che la coppia genitoriale ha acquisito la capacità di agire una migliore tutela dei figli nel rispetto reciproco.
Conclusioni
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di fornire una prospettiva, a grandi linee, degli istituti della Consulenza Tecnica d’Ufficio e della Mediazione Familiare per meglio comprenderli. A questo punto è possibile rispondere al quesito iniziale che ha dato il titolo a questo scritto: la CTU non è migliore della Mediazione Familiare né la Mediazione familiare è migliore della CTU. Sono due istituti diversi, con caratteristiche diverse che rispondono ad esigenze diverse. Alcuni esperti, avvocati, giudici invocano la mediazione familiare obbligatoria per tutte le coppie che si vogliono separare poiché in questo modo si deflazionerebbero i procedimenti in tribunali. Da più parti si sono levate però numerose critiche a questa richiesta. L’opinione di chi scrive è che la mediazione, pur rappresentando un valido strumento, poiché quando riesce, garantisce la civile continuazione dei rapporti fra gli ex coniugi, non può essere intesa come generale e risolutivo rimedio alla difficile situazione in cui versa l’attuale giustizia italiana. Si può solo sperare che le coppie che si accingono a separarsi rammentino, prima di darsi battaglia in tribunale, una massima di Spinoza: “la maggior parte dei conflitti nasce perché gli uomini non espongono bene il loro pensiero o non capiscono bene il pensiero degli altri”.
Bibliografia
Codice di Procedura Civile (2013). Maggioli Editore, Rimini.
Ardone, R. (1994). La mediazione familiare. Giuffré, Milano.
Bernardini, I. (1994). Genitori ancora. Editori Riuniti, Roma.
Bogliolo, C. e Bacherini A.M (1998). Bambini divorziati. Dalla crisi di coppia alla mediazione familiare. Edizioni Del Cerro, Pisa.
Cigoli, V. (1988). Il legame disperante. Raffaello Cortina Editore, Milano.
De Leo,G., Malagoli Togliatti M. (a cura di) (1990). La perizia psicologica in età evolutiva. Giuffré, Milano.
Dell’Antonio, A. (1986). Il bambino, l’adolescente e la legge. Giuffré, Milano
Haynes, J. (1999). Introduzione alla Mediazione familiare. Giuffré, Milano.
Kierkegaard, S. (1846). Postilla Conclusiva non scientifica alle Briciole di Filosofia in http://www.pensierieparole.it/aforismi/autori/b/baruch-spinoza/
Magrin, M. (2000) Guida al lavoro peritale. Giuffré, Milano.
Sitografia
Spinoza in http://www.filosofico.net/Kierk847.htm