Riskioankio

Riskioankio:  la formazione esperienziale dei volontari

Riskioankio è un progetto nato per contrastare le dipendenze giovanili che ha utilizzato la vela come mediatore educativo sia per i volontari che hanno partecipato al progetto sia per i ragazzi che sono stati coinvolti. La tecnica outdoor fa parte della formazione esperienziale (Experience Learning). Essa è una metodologia di formazione che si basa su attività di gruppo che coinvolgono i partecipanti sul piano fisico, cognitivo ed emozionale, svolte sia in aula che all’aperto. Questa metodologia si fonda sul presupposto che la modalità più efficace per apprendere nuovi comportamenti sia quella di sperimentarli concretamente.

Partendo da questi presupposti ed essendo incaricata della formazione dei volontari coinvolti nel progetto, ho ritenuto utile, viste anche le mie competenze nella gestione dei gruppi, applicare questa metodica che nel panorama internazionale è sempre più impiegata soprattutto nei contesti delle organizzazioni che devono conseguire obiettivi sfidanti, operare in ambienti ad elevata competitività, in cui sia di fondamentale importanza l’operare in team ed il poter contare su gruppi di lavoro integrati e capaci di valorizzare le diverse competenze professionali e le caratteristiche personali dei componenti.

La formazione esperienziale si differenzia dalle consuete metodologie d’aula per il forte coinvolgimento emotivo ma non elimina in toto gli strumenti tradizionali. Utilizza gli aspetti metodologici che meglio si prestano a sistematizzare e rafforzare l’apprendimento in modo da trasferire i comportamenti appresi nella propria realtà. Vengono create in ambiente controllato, situazioni progettate in funzione dell’obiettivo che si intende perseguire. Le persone che vi partecipano si confrontano con un terreno di sfida e di creatività e sono costrette a “correre dei rischi”, operare senza conoscere le risposte, gestire situazioni di ambiguità. Le attività proposte risultano formative in quanto collegate all’uso di determinate competenze utili nel contesto della vita quotidiana e/o professionale. Questo consente di nutrire la creatività, potenziare e consolidare l’apprendimento, stimolare le persone a connettere i propri diversi piani: cognitivo/emotivo, razionale/intuitivo ma soprattutto ad apprendere divertendosi. I partecipanti, protagonisti attivi, apprendono attraverso “l’allenamento”, la prova e la sperimentazione dei propri comportamenti. Nessuno fornisce dall’esterno modelli e tecniche preconfezionate valide per tutti ma viene facilitata l’attivazione delle risorse personali. L’interattività in aula è prodotta dal coinvolgimento che le attività esperienziali innescano nei gruppi.

La formazione esperienziale mette in moto, inoltre, la capacità di osservare. I partecipanti si osservano mentre agiscono ed osservano il comportamento degli altri. Viene stimolato un processo di apprendimento non tanto “per prove ed errori” ma strutturando momenti in cui “ci si ferma e si riflette su”. L’osservazione porta a scoprire conseguenze negative di alcuni comportamenti ma anche a valorizzare e sistematizzare i comportamenti costruttivi. L’attenzione è centrata sul “qui ed ora” collegando il processo di apprendimento a situazioni concrete.

Questo momento didattico/formativo è associato anche al gioco dimostrando che si può imparare e crescere anche divertendosi. Viene così recuperata la dimensione ludica dell’apprendimento tipica dei bambini che, proprio perché utilizzano il divertimento e l’emotività, riescono ad apprendere molte cose e molto velocemente rispetto agli adulti.

Gli obiettivi della formazione esperienziale sono molteplici e possono venire classificati sia in un’area individuale sia in un’area gruppale. Nel primo caso possiamo citare ad esempio: potenziare la propria autostima ed assertività, sviluppare le proprie abilità di organizzazione/creatività, potenziare la capacità di mettersi in gioco, di uscire dalla propria area di comfort. Nel secondo, possiamo evidenziare i seguenti obiettivi: accrescere il senso di collaborazione verso gli altri, favorire il processo comunicativo e l’ascolto reciproco, accrescere la capacità di lavorare in squadra.

La nostra esperienza è partita con la prima uscita in barca con i volontari. In questo caso ho utilizzato lo strumento del Training Group che contrappone alla rassicurante teoria, la pura azione ed esperienza della persona con altre persone e con il contesto poiché non sono previsti interventi didattici tradizionali e nulla è pre-disposto. Tutto nasce dal nulla, dal caos, dai partecipanti. La regola fondamentale è la centratura sul “noi” e sul “qui ed ora”. Le persone vengono considerate esperte di se stesse e sono lasciate completamente libere di interagire e di confrontarsi, di negoziare regole e di creare relazioni. Non ci sono risposte o “ricette” né tantomeno indicazioni sul come affrontare le problematiche che si incontrano da parte del conduttore. L’esperienza è di per se fortemente ansiogena e destrutturata perché non ci sono indicazioni ma proprio questo rappresenta la forza di questo gruppo.

“Mano a mano ci siamo sperimentati in più ruoli, “le chiacchiere” hanno cominciato a prendere piede, si sono formati più gruppi aperti dove ognuno poteva entrare e portare il suo contributo. Si è riso, si è condiviso il pasto e come ha detto Simona “un po’ la suddivisione di compiti, un po’ il condividere gli spazi e i pensieri, il clima si è disteso. Alla fine mi sentivo al sicuro, circondata da un “mare” di sensazioni belle e piacevoli. Ognuno di noi ha avuto un ruolo, anche se magari non specifico ma era disponibile a collaborare e essere in relazione con il vicino”.

Questo gruppo ha cominciato a sviluppare nei partecipanti alcune competenze come: l’ empatia e la comunicazione efficace, la creatività, la capacità di leadership e di integrazione, la capacità di resistere allo stress e l’espressioni delle emozioni che si sono evidenziate soprattutto grazie al primo di lunga serie di debriefing. Il debriefing rappresenta la raccolta logica-razionale ed emotivo-affettiva dell’accaduto ed è avvenuto tramite la stesura di un “diario di bordo” e successiva discussione. Questo scambio di feedback, effettuato anche attraverso un altro elemento strutturato, le fotografie scattate durante quella giornata, è stato l’oggetto del primo dei sei incontri quindicinali con i volontari.

I successivi incontri, avevano come temi da esplorare le emozioni, il corpo, le relazioni adolescenziali, le dinamiche di gruppo, la restituzione.

Gli stimoli utilizzati negli incontri prevedevano l’utilizzo delle tecniche dello psicodramma, del playback e della scrittura creativa.

Tecniche utilizzate

Lo Psicodramma

Nello psicodramma moreniano i protagonisti devono improvvisare il loro ruolo partendo da una situazione presente, passata, futura o immaginaria. I partecipanti proiettano nel dramma che stanno recitando le preoccupazioni, le attrazioni, le repulsioni. Con l’esprimere liberamente i propri conflitti, i partecipanti prendono coscienza della propria situazione e possono liberarsi dei traumi rivivendoli. Una delle tecniche usate da Moreno[1] è l’inversione dei ruoli. Nel corso di un’azione tra A e B, A diventa B e B diventa A. Questa inversione permette di mettersi nei panni dell’altro, di comprendere i suoi sentimenti e il suo modo di pensare.

Ogni seduta di psicodramma si distingue in tre parti:

–          il riscaldamento dell’uditorio: permette al conduttore di trovare un tema da rappresentare che sia condiviso e vissuto da tutti i partecipanti;

–          l’azione: i partecipanti devono calarsi nei panni della persona che rappresentano, avere la sua età, il suo modo di comportarsi, di essere;

–          le reazioni di eco della sala in cui ciascuno esprime quello che ha sentito.

Ciò consente ai protagonisti di uscire fuori dal loro isolamento e di vivere positivamente la partecipazione emotiva del pubblico. L’azione dello psicodramma può riguardare altresì situazioni tipo: genitori-figli, professore-allievo, capo-impiegato ecc. Secondo Moreno “per  fare uno psicodramma è necessaria una certa semplicità, apertura, coraggio e immaginazione creativa. L’uomo non si realizza veramente se non quando può esprimersi liberamente, nonostante le barriere sociali […]L’Io può espandersi in creatività, a seconda del grado di spontaneità che è in grado di liberare. La creatività è la forza che spinge l’individuo a cercare una risposta adeguata per una nuova situazione o una nuova risposta per una vecchia situazione”. “Gli uomini di oggi, soprattutto i giovani, hanno bisogno di un ritorno alla semplicità ossia di recuperare lo stato di spontaneità che è caratteristico dell’età evolutiva”.

Quando all’interno di un gioco è previsto l’uso dello psicodramma, il conduttore dovrà trovare e scegliere un momento particolarmente drammatico di una storia raccontata o d’invenzione. Sarà come un regista che sceglie l’inquadratura giusta. Suggerirà la situazione da rappresentare, sposterà il gruppo in fondo alla stanza rompendo il cerchio.

Il conduttore chiarirà ai partecipanti che durante lo svolgimento dell’azione, chiunque lo desideri può entrare in scena ed interagire liberamente all’interno dello psicodramma, modificando a piacimento la storia. Non è importante infatti che l’azione drammatica ricalchi necessariamente la storia raccontata. Da questa si prende spunto poi, nell’azione, i vissuti di ciascuno tenderanno continuamente a ribaltare le situazioni.

Non c’è un tempo preciso per lo psicodramma, dura finché c’è una tensione interna e l’azione non scade in retoriche, artificiose e infinite conversazioni tra i personaggi. Il conduttore durante l’azione dovrà evitare di intervenire.

Il Playback Theatre

Il Playback Theatre è un teatro comunitario, una forma originale di improvvisazione teatrale creata attraverso una interazione fra artisti (attori, musicista/i e conduttore) e pubblico che partecipa attivamente all’evento. Le persone vengono condotte, attraverso un percorso, a narrare episodi della propria esperienza per poi rivederli rappresentati immediatamente attraverso improvvisazioni sceniche e musicali. Il pubblico, dapprima indistinto, si trasforma in una comunità narrante e partecipante. Il Playback Theatre crea uno spazio rituale nel quale ogni storia, sia essa ordinaria, straordinaria, nascosta o difficile possa essere narrata ed immediatamente trasformata in teatro.

Uno spazio dove l’unicità di ogni persona è affermata e onorata mentre si costruiscono e si intensificano le connessioni tra le persone rafforzando lo spirito comunitario.

Il Playback Theatre è efficace per la condivisione di temi e l’individuazione di nuovi orientamenti e strategie collettive. La rappresentazione scenica riesce ad andare oltre al racconto, cercando di riscoprire il significato profondo dell’esperienza umana, per condividerla con gli altri rispondendo al bisogno di narrare e di ascoltare storie. Il Playback Theatre costituisce un efficace mezzo per favorire: integrazione sociale maggior benessere del singolo e delle comunità dialogo sociale tra diversità sviluppo di competenze relazionali.

La Scrittura Creativa

L’uso della scrittura, insieme alla parte creativa dell’individuo, consente di suggerire nuove strade di conoscenza e di coscienza in forma ludica. La scrittura creativa tende a conciliare due mondi: quello razionale, espresso dalle regole della scrittura, e quello più profondo espresso dalla creatività.

La base di questa tecnica è l’uso e la manipolazione delle parole tramite dei giochi. L’esercizio guidato permette, a chi lo svolge, di manifestare il proprio mondo interiore in modo organizzato tramite la scrittura e l’utilizzo di parole chiave che diventeranno strumento, orientamento, sostegno.

I principali obiettivi della scrittura creativa sono:

–          stimolare l’immaginazione creativa;

–          sviluppare la fiducia in se stessi,

–          esplorare i sentimenti;

–          sviluppare la consapevolezza di sé;

–          sviluppare idee;

–          favorire l’espressione personale;

–          migliorare le abilità nella scrittura e nella lettura.

Il conduttore proporrà di volta in volta elenchi di “parole chiave” studiati a seconda dei temi scelti per l’incontro. Questi vocaboli che i partecipanti saranno obbligati ad usare saranno le “regole del gioco”. Il fine sarà quello di produrre un testo per poi leggerlo al gruppo. La qualità letteraria del testo non ha importanza, pertanto è consigliato un periodo breve per la loro scrittura.

Il conduttore dovrà astenersi dal giudizio e favorire la libera espressione attraverso la scrittura. Nella composizione dei testi non saranno importanti le regole grammaticali e la sintassi. Il testo dovrà essere compreso ma mai valutato.

Gli stimoli utilizzati

Le parole non dette

Obiettivo: prendere coscienza della difficoltà di esprimere i propri sentimenti

Tecnica usata: scrittura creativa

Grado di difficoltà: medio

Età: dai 15/16 anni in poi

Dimensione del gruppo: da 6 a 12 persone

Durata: 1 ora e 30 minuti

Luogo: stanza con sedie in circolo

Materiale: fogli di carta e penne

Svolgimento: il conduttore distribuisce ai partecipanti fogli e penne. Su un tavolo dispone altri fogli con un elenco di sostantivi o verbi che  riguardano la difficoltà di esprimere sentimenti come amore, rabbia, bisogni. Propone quindi ai partecipanti di scegliere liberamente una delle parole della lista e li invita a comporre un breve racconto nella forma preferita (comica, drammatica, fantastica) con la consegna di ripetere la parola o un suo derivato per almeno cinque volte ( tempo 15 minuti circa).

Alla fine ogni partecipante è chiamato a leggere il proprio scritto nel modo che più gli è gradito: in maniera asettica come se fosse stato elaborato di un altro, come se fosse una notizia di un telegiornale, simulando una recita, come se fosse uno spot pubblicitario ecc; in caso di difficoltà può scegliere un compagno che legga al posto suo.

Elenco: voglio, bisogno, odio, aiuto, dolore, amore, parlami, orgoglio, credimi, fiducia, sognare, tacere, felice, scelto, disperazione, accompagnami, sono forte, accarezzami, sono perdente, sostienimi sono indeciso ecc.

Suggerimenti per il conduttore: il conduttore sottolineerà gli elementi positivi degli elaborati. Se alcuni partecipanti avranno scelto sostantivi molto dolorosi o la storia che ne segue è particolarmente drammatica, il conduttore cercherà di volta in volta di coinvolgere il gruppo nella continuazione del racconto in forma orale e collettivamente affinché siano visibili altre possibilità di soluzione.

Amici Persi Amici Ritrovati

Obiettivo: chiarire a se stessi il perché di certi legami, delle rotture e valutare la possibilità di riallacciare vecchi rapporti o crearsene dei nuovi.

Tecnica usata: psicodramma

Grado di difficoltà: medio

Età: dai 10 anni in poi

Dimensione del gruppo: da 6 a 18 persone

Durata: 1 ora o 2 a seconda dell’ampiezza del gruppo

Luogo: stanza confortevole

Materiale: fogli di carta e penne

Svolgimento:  Il conduttore apre sul tema dell’amicizia e quindi sull’importanza che gli amici hanno nella vita di ciascuno. Distribuisce carta e penne e chiederà ai partecipanti di scrivere, senza riflettere troppo, i nomi degli amici della propria vita (di scuola, dell’infanzia, del militare, attuali ecc). Una volta scritti i nomi, si dovranno sottolineare quegli amici che per vari motivi non si frequentano più (quelli che sono morti, quelli lontani, quelli con cui si hanno avuto dei malintesi).

Ciascun partecipante leggerà al gruppo i nomi degli amici, illustrando brevemente chi sono e per quale motivo il rapporto è stato interrotto.

Il conduttore invita allora i presenti a scegliere dall’elenco solamente un amico con cui si desidera riallacciare un discorso interrotto, chiarire qualche malinteso, esprimere un proprio sentimento che in passato non si è stati in grado di comunicargli.

In fondo alla stanza si mette una sedia vuota e di fronte un’altra su cui siederà ciascun partecipante che vorrà dialogare con l’amico assente. La sedia dell’amico potrà essere vuota o potrà essere occupata da una persona che verrà scelta nel gruppo. La persona scelta come amico, preferibilmente, eviterà di rispondere e ascolterà attenta e partecipe a ciò che le verrà detto. A turno, i partecipanti andranno a parlare e ad esprimere i propri sentimenti nei confronti dell’amico. Infine, ognuno esprimerà al gruppo ciò che ha provato nel colloquio e ascolterà le osservazioni e i contributi dei presenti.

Suggerimenti per il conduttore: sono da scoraggiare i giudizi e le interpretazioni. Vanno messi in risalto gli elementi positivi che emergono coinvolgendo tutto il gruppo.

Io sono il mio corpo

Obiettivo: favorire l’accettazione di sé e del proprio corpo

Tecnica usata: scrittura e rilassamento immaginativo

Grado di difficoltà: medio

Età: dai 12 anni in poi

Dimensione del gruppo: da 6 a 18 persone circa

Durata: 1 ora circa

Luogo: stanza confortevole

Materiale: fogli di carta e penne

Svolgimento: il conduttore distribuisce dei fogli di carta ed invita i partecipanti a riflettere sul proprio corpo. Sul foglio i partecipanti dovranno tracciare tre colonne verticali: nella prima verranno indicate le parti del corpo più amate ed apprezzate, nella seconda le parti cui non si presta solitamente attenzione o verso le quali si ha un atteggiamento di indifferenza, nella terza le parti meno amate. Per fare ciò i partecipanti avranno a disposizione un massimo di 10 minuti.

Successivamente sul retro del foglio i partecipanti dovranno scrivere un messaggio di conforto ad una parte del corpo che immaginano si senta trascurata e maltrattata, riconoscendola come parte di sé e riproponendosi di integrarla a se stessi.

Il conduttore dopo 10 minuti circa, proporrà la lettura degli scritti e una verbalizzazione di gruppo.

Dopo 15/20 minuti circa di scambio verbale, il conduttore proporrà una seconda fase del lavoro. Inviterà i partecipanti a porsi in una posizione confortevole per il rilassamento corporeo, a chiudere gli occhi e a respirare profondamente sentendo il peso del corpo abbandonato e sostenuto dal pavimento, dalla sedia ecc.

Il conduttore inizierà quindi a nominare le varie parti del corpo, partendo dalla testa, indicando anche le singole parti del viso, includendo successivamente le parti anteriori e quelle posteriori del corpo. Inviterà i partecipanti a riconoscerle come parti di sé e dichiarare di amarle.

Una volta ripercorso il corpo, il conduttore concluderà invitando i partecipanti a riconoscere e ad accettare ogni parte di sé, includendo gli aspetti corporei, emotivi, intellettivi.

Infine, chiederà ai partecipanti di stiracchiarsi, aprire lentamente gli occhi e porsi nuovamente in cerchio per uno scambio verbale sull’esperienza.

Suggerimenti per il conduttore: il gioco permette di affrontare la tematica dell’accettazione di sé e del proprio corpo attraverso una duplice tecnica: quella della scrittura e dello psicodramma. Sono da scoraggiare i giudizi, astenersi dalle interpretazioni. Vanno messi in risalto gli elementi positivi che emergono coinvolgendo tutto il gruppo.

Il mio corpo

Obiettivo: favorire la conoscenza attraverso il concetto di salute

Tecnica usata: scrittura

Grado di difficoltà: medio/basso

Età: dai 12 anni in poi

Dimensione del gruppo: da 6 a 18 persone circa

Durata: 1 ora circa in base alla dimensione del gruppo

Luogo: stanza confortevole

Materiale: fogli di carta e penne

Svolgimento: il conduttore durante la fase di riscaldamento precedente il gioco, stimolerà i partecipanti ad una riflessione sugli aspetti riguardante la propria salute psicofisica. I membri dovranno realizzare uno “slogan” pubblicitario personalizzato, un breve comunicato, uno spot obbligatoriamente riferito alla salute. L’idea può essere completamente inventata oppure realizzata parafrasando o reinventando una pubblicità già esistente.

Successivamente i partecipanti dovranno illustrare il proprio slogan descrivendone gli elementi salienti. Lo stesso procedimento può essere seguito da una presentazione reciproca in coppia e da una illustrazione al gruppo dei punti rilevanti dello slogan del compagno.

Al termine dei lavori nella discussione finale, il conduttore avvierà la riflessione sui lavori svolti.

Suggerimenti per il conduttore: sarà interessante notare la discussione nel gruppo: quali tipi di slogan, le somiglianze, le differenze, le diversità di atteggiamento di fronte al medesimo problema di salute ecc. Quante persone nello stesso gruppo dicono avere lo stesso problema? Come si comportano per risolverlo? Quanti negano problemi evidenti? Scoraggiare giudizi astenersi dalle interpretazioni.

 

Di chi è la colpa?

Obiettivo: individuare chi tendiamo ad incolpare quando accade qualcosa e come ci si pone davanti alla trasgressione. Verificare quanto sia complessa la definizione di un colpevole.

Tecnica usata: scrittura e psicodramma

Grado di difficoltà: medio

Età: dai 15 anni in poi

Dimensione del gruppo: da 6 a 12 persone circa

Durata: un’ora o due in base alla dimensione del gruppo

Luogo: stanza confortevole

Materiale: fogli di carta e penne

Svolgimento: il conduttore consegna a ciascun partecipante un foglio e una penna. Legge ai partecipanti il seguente testo:

Storia di una giovane

Una ragazza di 18 anni, appartenente ad una famiglia molto tradizionale e rigida è innamorata di un giovane che non piace ai genitori. Lei comunque seguita a frequentarlo di nascosto. Viene a sapere che si droga e che beve. Si prodiga per farlo smettere. Confida alla sorella maggiore il suo segreto ma anche lei non è d’accordo con la frequentazione.

Una sera, dopo una festa in discoteca, il ragazzo consegna alla giovane una dose di  cocaina e la supplica di portarla ad un suo amico che gliela aveva chiesta insistentemente perché è in crisi di astinenza. La ragazza è riluttante ma cede alla richiesta e accetta.

Durante un controllo notturno, la polizia ferma la macchina della ragazza. Risulta positiva all’alcoltest e nella sua borsa, i poliziotti trovano la dose. La ragazza supplica i poliziotti di chiudere un occhio ma i poliziotti sono inflessibili. La ragazza viene fermata per accertamenti in questura e in seguito denunciata per guida in stato d’ebbrezza e possesso di sostanza stupefacente. Viene a sapere che la sorella ha rivelato ai genitori l’accaduto e questi si sono molto arrabbiati. La giovane si sente persa e presa dallo sconforto si suicida.

Quale di questi personaggi che sono in ordine di comparsa nella storia, la giovane, il fidanzato, i genitori, la sorella, l’amico del fidanzato, i poliziotti può essere ritenuto responsabile di questa morte?

Classificate i personaggi in ordine di responsabilità decrescente.

Dopo aver letto la storia, il conduttore chiede di scrivere, senza riflettere troppo, i nomi dei personaggi, dal più colpevole al meno colpevole (tempo 5 minuti). Ciascuno legge i nomi scritti e consegna al conduttore il proprio foglio.

A questo punto si potranno realizzare delle piccole scene che prendono spunto dalla storia. Le persone più colpevoli saranno realizzate da coloro che le hanno segnalate come tali. Si potrà realizzare la scena del tentativo della giovane di convincere il ragazzo a smettere di drogarsi, un dialogo tra le due sorelle, la discussione tra i genitori severi e la ragazza, la richiesta del fidanzato alla ragazza, il tentativo della ragazza di convincere i poliziotti, la richiesta di aiuto dell’amico del ragazzo.

Creando dal vivo tali situazioni drammatiche è possibile che alcuni personaggi del gruppo desiderino cambiare l’ordine di colpevolezza dei personaggi.

La discussione finale metterà in luce la diversità delle posizioni e gli eventuali cambiamenti di ottica.

Suggerimenti per il conduttore: sarà interessante notare lo svolgimento della discussione nel gruppo, come sono le posizioni dei partecipanti? Che tipo di discussione si svolge? Quali sono gli elementi che vengono trascurati? Come si pongono i membri del gruppo di fronte alla trasgressione? Ricordare sempre che vanno scoraggiate le interpretazioni e i giudizi.

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L’ultimo incontro della formazione oltre a restituire il percorso fatto insieme ha finalmente presentato quella teoria gruppale così tanto attesa fin dall’inizio. Ne do alcuni brevi cenni.

Brevi cenni di gruppalità

Il gruppo è concepito come un modello di rete: ogni nodo può essere immaginato come una persona che è collegata tramite un legame, una relazione alle altre persone e alla rete nel complesso. La rete infatti non è una semplice somma di relazioni. Il gruppo è quindi una modalità complessiva dove il tutto è superiore alla somma delle singole parti e dove la somma può determinare i processi che si stabiliscono nel suo interno.

Legato al concetto di rete vi è quello di matrice: secondo Foulkes[2] è “la rete ipotetica di comunicazione e relazione in un dato gruppo. E’ il terreno comune condiviso che alla fine determina la comprensione ed il significato di tutti gli eventi e su cui si fondano tutte le comunicazioni verbali e non verbali”.  Egli descrive  tre differenti tipi di matrice:

–          Matrice personale: riguarda l’individuo e si forma a partire dalla sua esperienza di far parte di un gruppo, quello familiare originario, di cui ha incorporato l’intero insieme di rapporti, significati;

–          Matrice dinamica: si costituisce all’interno della situazione gruppale come fatto peculiare di quel gruppo e non di un altro ed è in perenne trasformazione;

–          Matrice di base: rappresenta il presupposto della comunicazione, la base che accomuna che consente la possibilità di comprendersi.

La matrice è come un ricco fertilizzante che promuove lo sviluppo di nuove combinazioni di relazioni così come lo svelamento di antichi modelli di comportamento. È importante sottolineare che non è mai creata da un singolo membro per quanto carismatico o dittatoriale possa essere. Essa è una creazione del lavoro di gruppo. Nella sua struttura e nei suoi contenuti si ritrova traccia dei singoli individui, delle loro storie e della loro cultura combinate in maniera nuova e diversa.

In questa introduzione al lavoro nei gruppi, verranno presi in esame cinque “oggetti dell’attenzione di un conduttore” poiché scopo del presente testo è fornire una visione panoramica del lavoro che si svolge all’interno di un gruppo. I cinque oggetti sono:

1)      le persone;

2)      le relazioni interpersonali;

3)      le Interazione tra individui e gruppo;

4)      i fenomeni transpersonali;

5)      la storia del gruppo.

Le persone

Ogni partecipante propone la propria storia utilizzando diversi mezzi espressivi: racconti, comportamenti ecc. Ogni suo intervento si lega sia all’andamento del gruppo sia ai suoi interventi precedenti. Compito di un conduttore è riconoscere come evolvono le relazioni che ogni persona ha stabilito con lui e con il gruppo,  “registrare” nella propria mente come le persone utilizzano le risposte che il gruppo fornisce e se vi è uno sviluppo o un blocco nella loro evoluzione. Per un buon andamento del gruppo è altresì importante che il conduttore presti molta attenzione alle persone che non riescono ad esprimersi con le parole.

Le relazioni interpersonali

All’interno di un gruppo si svolgono scambi liberi e vivaci rispetto a quello che sta accadendo e rispetto a ciò che ognuno dei membri consapevolmente o inconsapevolmente sta comunicando. Molto spesso, anzi, gli altri membri sono in grado di cogliere aspetti del vissuto della persona che parla, che questa non riconosce o riconosce solo in parte. Per illustrare la capacità dei partecipanti a un gruppo a cogliere le emozioni e il vissuto degli altri membri, Foulkes ha impiegato un termine tratto dalla fisica: risonanza. Un sistema fisico può essere messo in vibrazione anche con una frequenza molto lontana dalla sua o dalle sue frequenze naturali; questo effetto rimane debole ma aumenta mano a mano che la frequenza eccitatrice si avvicina a quella naturale e raggiunge una grandissima ampiezza di vibrazione (ampiezza di risonanza) quando si giunge a una delle frequenze naturali: il sistema è detto allora in risonanza. Anche nel gruppo vi può essere un contatto emotivo generico che corrisponde a quello che in fisica è la risonanza lontana dalle frequenze naturali. È però su un certo tema, su un certo sentimento che si produce una vera  risonanza tra due o più persone.

L’entrare in risonanza e il metabolizzare gli stati d’animo di un altro partecipante hanno sempre un valore di conoscenza di se stesso. Talora questa funzione auto-conoscitiva è preminente. Si può parlare allora di effetto specchio. “Un individuo vede se stesso, spesso la parte rimossa di sé, riflessa nell’interazione degli altri membri del gruppo. Li vede reagire nello stesso modo, in cui reagisce lui stesso, o in contrasto con il suo comportamento. Impara così a conoscere se stesso attraverso l’azione che esercita sugli altri e attraverso l’immagine che essi si fanno di lui”.

La risonanza e l’effetto specchio a volte non si sviluppano solo tra due persone ma si creano catene associative cui contribuisce la maggioranza dei membri del gruppo. Frequentemente delle discussioni possono condurre a improvvise emergenze di attività di catena, a cui ogni membro contribuisce fornendo un anello essenziale. Questo evento può approfondire il livello della comunicazione e condurre a sviluppi nella dinamica di gruppo.

Interazione tra individui e gruppo

Come già accennato, in certi momenti, nel gruppo il discorso si sviluppa a “ruota libera”: una parola provoca un pensiero, un pensiero una parola, il risultato complessivo è un ricco articolarsi di emozioni, idee, immagini. Un’altra modalità di comunicazione è “la disposizione a stella”. Quando il gruppo funziona seconda questa disposizione, lo sviluppo del discorso procede spontaneamente per confronto tra differenti punti di vista su uno stesso tema e per sovrapposizione di immagini. Il risultato è quello di mettere in luce un significato presente ma implicito. Collegato a questo concetto c’è quello di pensiero di gruppo: esso indica una serie di operazioni e il prodotto di tali operazioni. Il pensiero di gruppo fornisce auto-rappresentazioni del gruppo ed è inoltre in grado di metabolizzare stati carichi di ansia che i singoli individui non riescono ad elaborare e digerire. Tra pensiero di gruppo e pensiero degli individui vi può essere collaborazione ma perché ciò avvenga è necessaria la messa a punto di sintonia tra i due modi di pensiero.

I fenomeni transpersonali.

Rappresenta qualcosa di esteso, diffuso, impalpabile e soprattutto di difficile rilevazione. Per chiarezza espositiva distinguerò due tipi di fenomeni:

–          l’atmosfera o tono di fondo del gruppo

–          i mezzi.

Atmosfera: i partecipanti di un gruppo condividono un complesso di emozioni, vissuti, sensazioni corporee cui essi stessi danno origine per un effetto di somma, questi elementi tendono a presentarsi come un “tutto” diffuso e mobile che viene percepito come atmosfera del gruppo. Redl [3] la definisce anche come “la somma delle emozioni di ognuno di noi nei confronti degli altri, verso il lavoro, verso il gruppo, verso il mondo esterno”.

Mezzi: i mezzi attraverso cui avviene la comunicazione influenzano la stessa profondamente. L’introduzione di un nuovo mezzo o un cambiamento di mezzo modificano la percezione delle persone che ne subiscono l’impatto. Quando questi cambiamenti sono lenti vi è una maggiore possibilità di adattamento.

La storia del gruppo

Il gruppo ha una propria vicenda che è intrecciata con le vicende delle persone che ne fanno parte ma non si identifica con queste. Anzi la vicenda degli individui si colloca all’interno del reticolo della storia del gruppo. In particolare vi sono due momenti crocevia che hanno molta importanza nel determinare il funzionamento del gruppo. Tali momenti sono:

–          lo stato gruppale nascente: in questa fase comincia a prendere consistenza il gruppo come unità. È frequente ascoltare in questa fase affermazioni come: “siamo bravi, siamo il miglior gruppo”; affermazioni che non si basano su un giudizio realistico del funzionamento di gruppo ma su una illusione collettiva. È importante che il conduttore non resti affascinato da queste affermazioni. L’illusione gruppale risponde a un desiderio di sicurezza. Non deve però essere messa in luce solo il suo aspetto negativo ma deve essere considerata anche come un modo per andare incontro all’urgenza dei membri del gruppo di stare insieme quando manca ancora la capacità di stare insieme come un gruppo di persone che cooperano;

–          lo stadio della comunità dei fratelli: è il momento in cui si costituisce appieno il gruppo come soggetto collettivo capace di pensiero e di elaborazione e le persone sono capaci di operare come un gruppo stabilendo rapporti di reciprocità. Questo sviluppo è preparato da una lunga serie di eventi:

  • le persone avvertono che la loro appartenenza al gruppo non è più in discussione;
  • divengono più disponibili a mettersi in gioco;
  • i temi di cui si parla si fanno più precisi;
  • il conduttore del gruppo è percepito come meno distante;
  • le persone non si rivolgono più solo al conduttore ma provano a collocare i propri pensieri nel campo del gruppo.

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La formazione si è conclusa con l’ultima uscita in barca dei volontari. Un’uscita virtuale poiché a causa delle condizioni atmosferiche siamo rimasti nella barca in porto per ben 7 ore. Abbiamo comunque “navigato”  e raggiunto la nostra “meta” grazie agli stimoli presentati e alle riflessioni fatte.

Conclusioni

Imparare ad apprendere dall’esperienza e farlo velocemente rispetto ai cambiamenti del mercato e della società è una notevole capacità. Occorre sapere sfruttare sempre di più ogni occasione della vita come potenziale palestra di sviluppo e di crescita.

L’apprendimento è un processo fisiologico, naturale e spontaneo che scatta tanto più si guarda alla vita con una predisposizione mentale caratterizzata da curiosità e voglia di sperimentare. La premessa che la vita è apprendimento ricollega, inoltre, i concetti di persona e di ruolo così spesso separati nella formazione tradizionale.

Il tipo di atteggiamento che facilita l’imparare ad apprendere si caratterizza per i seguenti comportamenti:

–          andare incontro, aprirsi mentalmente ed emotivamente al proprio ambiente;

–          accettare e provare ambienti diversi e nuovi uscendo dalla propria area di comfort;

–          saper lasciare punti in sospeso senza pretendere di voler classificare e spiegare tutto;

–          riflettere regolarmente su ciò che ha funzionato o meno nelle proprie azioni;

–          essere curiosi, chiedersi il perché delle cose e ricercare i collegamenti, i segnali deboli scrutando dietro alle apparenze.

La formazione esperienziale e l’outdoor training sono caratterizzati dalla seguente visione dell’apprendimento rispetto alla quale vanno rese coerenti le singole e specifiche attività progettate per la committenza e proposte ai partecipanti:

–          Apprendere significa innanzitutto attivare le proprie risorse interne più che lasciarsi riempire e formare da soggetti e tecniche esterne;

–          Apprendere è un processo continuo che non avviene di colpo ma attraverso un graduale sviluppo;

–          Apprendere non ha bisogno di luoghi e tempi dedicati, si può apprendere sempre e dovunque (“life is learning”);

–          Apprendere può essere gradevole e divertente;

–          Apprendere coinvolge sia gli aspetti razionali e cognitivi sia quelli emotivi e fisici;

–          Apprendere vuol dire poter percorrere il proprio processo di crescita in modo volontario;

Mi piace pensare, grazie alle parole di una volontaria che lascio a testimonianza, che una buona parte di questo lavoro sia stata svolta.

Se ripenso al primo incontro della formazione ricordo molta chiusura da parte dei volontari.  Il tema su cui si doveva lavorare aveva praticamente spiazzato tutti, non essendoci una conoscenza approfondita fra di noi. Io personalmente avevo già fatto formazione in altri corsi ed ero preparata a eventuali difficoltà e la reazione degli altri mi ha permesso di utilizzare in parte le nozioni apprese in precedenza.

Alla fine della formazione, quando ci è stato spiegato perché era stato scelto quel tema “Decidere chi doveva rimanere sulla nave e quindi morire” ho capito lo scopo per cui era stato proposto e quindi le reazioni che aveva ottenuto.  Trovarsi in una situazione simile è sembrata ai volontari una cosa molto crudele, soprattutto perché eravamo al primo incontro e mi è parso che qualcuno non ci vedeva il nesso con quello che andavamo a fare.

Proseguendo nella formazione, incontro dopo incontro, c’è stata una reazione, mia e mi sembra anche degli altri, di avvicinamento e di fiducia reciproca che ci ha permesso di creare una relazione dove sono spariti i pregiudizi, dove ci siamo aperti e raccontati liberamente senza provare disagio. Le persone che ho conosciuto all’inizio le ho viste diverse alla fine della formazione, sono andata oltre all’impressione che avevo ricevuto al primo incontro osservandole e ascoltandole.

Sicuramente ho scoperto delle belle persone”.

Bibliografia

Bion, W.R. (1971) Esperienze nei gruppi. Armando, Roma.

Bion, W.R. (1972) Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma.

Cantale, M. e Sacripante M. Formare i formatori esperienziali. Quale formazione? In corso di pubblicazione.

De Marziani, A. e Paolino, G. (2002) Fuori dalle aule, fuori dagli schemi. Franco Angeli, Milano.

Foulkes, S.H. (1967) Analisi Terapeutica di Gruppo. Boringhieri, Torino.

Liuzzi, M. (2006) La formazione fuori dall’aula. Franco Angeli, Milano.

Manes, S.(2007) Sul treno della vita per scoprire il nostro sé di ieri, di oggi e di domani. Franco Angeli, Milano

Moreno, J.L. (1980) Il teatro della spontaneità. Guaraldi, Firenze.

Neri, C. (1995) Gruppi. Borla, Roma.

Yalom, I. (1997)  Teoria e Pratica della Psicoterapia di gruppo. Boringhieri, Torino.


[1]  Moreno inventore dello psicodramma, del sociodramma, della sociometria e dei giochi di ruolo

[2]  psicoanalista, fondatore della gruppo analisi

[3] Psicoanalista pioniere dei trattamenti residenziali e interventi educazionali per adolescenti